venerdì 26 agosto 2022

Bontà insensata



        Ed ecco, a fianco del minaccioso, grande bene, esiste una bontà quotidiana. È la bontà della vecchia che porta un pezzo di pane a un prigioniero, del soldato che da da bere dalla sua borraccia al nemico ferito, della gioventù che ha pietà della vecchiaia, è la bontà del contadino che nasconde nel fienile un vecchio ebreo. È la bontà dei guardiani che mettendo in pericolo la loro stessa libertà, consegnano le lettere dei prigionieri, non ai propri compagni di fede, ma alle madri e alle mogli. Questa bontà privata di un singolo individuo nei confronti di un suo simile, è senza testimoni, una piccola bontà senza ideologia. La si può chiamare bontà insensata. La bontà degli uomini fuori dal bene religioso o sociale.

        Ma se ci soffermiamo a riflettere, ci accorgiamo che la bontà fine a se stessa, privata, casuale, è eterna. Essa si diffonde su tutto ciò che vive, perfino sul topo, su quel ramo spezzato che il passante, fermandosi un istante, accomoda perché gli sia più naturale e facile cicatrizzarsi e guarire.

        In questi tempi terribili, quando la follia regna nel nome della gloria dei vari stati, delle nazioni, del bene universale, in un'epoca in cui gli uomini non sembrano più uomini, ma sono stroncati come i rami degli alberi, e come pietre che tirano giù le altre pietre riempiono burroni e fosse, in quest'epoca di orrore e d'insensata pazzia la bontà pietosa, sparsa nella vita come una particella di radio, non è svanita.



Grossman Vassilij Semenovic - Vita e destino, pagina 405-406 Jaca Book Milano1998

Quel maledetto di Serëža

Il tempo aveva perso il suo flusso eguale; su di loro incombeva immobile una penombra confusa, fumo e polvere trascinati dal vento…La terra si fece silenziosa, poi la sonora massa omogenea s’incendiò di esplosioni successive, l’anima fu invasa da una totale spossatezza; sembrava che tutte le forze vive ne fossero state schiacciate per lasciar posto alla sola angoscia.

Klimov si sollevò: accanto a lui giaceva un altro soldato coperto di polvere, un terzo uomo macinato dalla guerra, tedesco dalla testa ai piedi. Klimov non aveva paura dei tedeschi, era sempre sicuro della sua forza, della sua stupefacente abilità di premere il grilletto, scagliare una granata, dare una coltellata o un colpo di calcio del fucile un secondo prima del nemico.

 

 

        Ma ora si sentiva smarrito, sgomento dal fatto che assordato e accecato si era rallegrato sentendosi un tedesco accanto, di avere scambiato la mano del tedesco per quella di Poljakov.

Si esaminarono l’un l’altro, entrambi oppressi dalla stessa identica forza, entrambi incapaci di lottare contro di essa, che non sembrava dipendere da ognuno di loro, ma minacciarli allo stesso modo tutti e due.

Tacevano, i due abitanti della guerra. L’automatismo perfetto e infallibile – uccidere – non era scattato.

Poljakov, seduto poco distante, guardava anch’esso la faccia setolosa del tedesco. E benchè non amasse stare zitto a lungo questa volta taceva.

La vita era terribile, ma nel fondo dei loro occhi balenò la malinconica consapevolezza che anche dopo la guerra la forza che li aveva schiaffati in quella fossa, cacciando il loro muso nel fango, non avrebbe falciato solo i vinti.

Come se si fossero messi d’accordo si affrettarono ad arrampicarsi fuori dal cratere porgendo schiena e nuca ad una facile fucilata, irremovibilmente sicuri tutti e tre della reciproca incolumità.

Poljakov scivolò, ma il tedesco che cercava di risalire accanto a lui non lo aiutò, e il vecchio si ritrovò nel fondo a imprecare e maledire la luce chiara, verso la quale si inerpicò con rinnovata ostinazione.

Quando Klimov e il tedesco furono in superficie, entrambi si misero a guardare: uno a oriente, l’altro a occidente, se per caso i superiori non vedessero che uscivano tutti e due dalla medesima buca senza essersi combattuti.

Senza voltarsi, senza neanche un “saluto”, ognuno si diresse alle rispettive trincee, colli e valli di terra arata, ancora fumante.

«La nostra casa non c’è più: è stata rasa al suolo» fece spaventato Klimov a Poljakov, che lo raggiungeva trafelato. «Possibile che vi abbiano uccisi tutti, fratelli miei?»

In quel mentre cannoni e mitragliatrici ripresero a puntare tra urla e schianti.

Le truppe tedesche avevano dato inizio alla grande offensiva.

Fu il giorno più duro di Stalingrado.

«Tutta colpa di quel maledetto di Serëža» brontolava Poljakov.

Non aveva ancora capito quanto era accaduto, che nella casa “sei barra uno” non era rimasto nessuno; i singhiozzi e le esclamazioni del compagno lo irritavano…

Grossman Vassilij Semenovic - Vita e destino, pagina 434-435 Jaca Book Milano 1998